PROLOGO

Lo schermo abbagliante era l’unica fonte di luce nel mio studio. L’innaturale riflesso rendeva la mia pelle più pallida del solito, anche se usavo un filtro speciale per non causare danni ai miei occhi ipersensibili.
Quella sera di fine luglio eravamo in pochi sulla piattaforma. Forse per via del caldo improvviso che aveva spinto i viareggini sulle spiagge del litorale versiliese, non c’era quasi nessuno online.
The Chariot era il miglior gioco di ruolo che avessi mai provato. Dopo solo quattro mesi avevo scalato la classifica, assicurandomi un profilo dei più temibili e guadagnando i commenti acidi degli utenti più scarsi.
Sapevo molto bene che ogni ora passata tra quelle pareti, di fronte allo schermo, sottraeva tempo alle mie già scarse interazioni sociali, ma era un baratro invitante, accogliente. Non avevo alcun problema a lasciarmi inghiottire da quell’universo fasullo.
Se serviva a dare sollievo alla mia anima in continuo conflitto, se lì potevo essere una persona come tante… benvenuta alienazione.

 

CAPITOLO UNO

NERO COME LA NEGAZIONE

Alex

«Possiamo iniziare a usare la rete telematica fin da subito?» mi chiese il proprietario dell’albergo a quattro stelle che dominava Viale Margherita.
L’uomo dimostrava una cinquantina d’anni; contro i miei ventinove – portati fin troppo bene – esibiva un’aria più matura e un atteggiamento di superiorità piuttosto irritante.
Potevo intuire con chiarezza quello che gli passava per la testa in quel momento: questo pallido sbarbatello che ho di fronte sarebbe un ingegnere?
Superata la sorpresa del primo impatto, quando ci eravamo stretti la mano per le presentazioni e lo sguardo gli era caduto sui capelli chiarissimi e su tutto ciò che corredava la mia persona, il signor Simoncelli mi aveva trattato con fredda gentilezza.
«Ho lasciato le istruzioni nella cartella specifica. Quella a sinistra, sul desktop» risposi sovrappensiero raccogliendo il laptop e gli appunti. Data la situazione ero stato costretto a lavorare sul terminale principale dell’hotel, proprio alla reception, sotto lo sguardo curioso di dipendenti e ospiti.
Odiavo quell’aspetto della mia professione. Fortunatamente, avevo raggiunto una posizione che mi permetteva di lavorare da casa, riducendo al minimo la mia presenza altrove.
Stavolta l’incarico era stato troppo allettante per rifiutare, quindi mi ero fatto coraggio e avevo finto, come sempre, di non sentire il peso degli sguardi su di me.
Una volta fuori, sotto il sole accecante e la brezza del Tirreno, il primo istinto andò contro la natura delle cosiddette persone “normali”. Invece di godermi quel momento di pace non vedevo l’ora di rifugiarmi a casa, nel mio antro da nerd, pronto a una nuova dose di adrenalina.
Era dannoso, lo sapevo bene: la strada che stavo percorrendo mi avrebbe portato all’isolamento totale. Ci pensava già mio fratello a mettersi in mezzo con le sue critiche velate d’ironia.
Ogni tanto Flavio tornava all’attacco e m’invitava a bere una birra o a fare una nuotata in piscina.
«I fratelli Vallieri devono tornare a caccia, prima o poi» mi aveva detto appena due giorni prima.
Tornare a caccia?
Ovviamente ero in disaccordo con quel cretino.
Tornare significava che in passato avevamo frequentato locali insieme, ma se la memoria non m’ingannava, le serate goliardiche con la sua compagnia di amici erano state al massimo una decina.
A caccia, per Flavio non era solo un modo di dire: era così che viveva ogni flirt. Lui era il cane da riporto e le ragazze delle prede poco scaltre.
Anche se eravamo cresciuti insieme, era chiaro che qualcosa di lui mi sfuggisse.
In materia di corteggiamento eravamo agli antipodi. Mentre lui giocava a carte scoperte usando ogni tecnica di rimorchio, io dovevo vedermela con la naturale perplessità di chi mi vedeva per la prima volta.
Le reazioni di solito erano prevedibili, tanto che avrei potuto scriverci un manuale. C’erano le ragazze meno brillanti che non sapevano come nascondere l’imbarazzo o la curiosità, mettendomi in situazioni a dir poco ridicole. Quelle che si sforzavano di essere naturali, ma non riuscivano a smettere di trattarmi come un esemplare raro… Poi arrivavano le peggiori, le crocerossine: donne che si consideravano estremamente empatiche e che mi volevano solo consolare, compatire e scopare… e non sempre in quest’ordine.
Anche mostrando il mio lato più brusco, rischiavo d’incontrare una svampita interessata ad avvicinarmi per il gusto di provare qualcosa di nuovo.
Per questi motivi non mi andava di accettare l’offerta di Flavio. Inoltre, noi due non avremmo potuto essere più diversi; il mio essere scontroso, il cinismo e la graffiante ironia erano in eterno contrasto con il suo temperamento aperto e solare.
Essere albino non era nemmeno il peggiore dei miei problemi; ci pensava la mia naturale tendenza alla misantropia a provocare la maggior parte dei danni.
Arrivato di fronte al cancello di casa, attivai il telecomando per parcheggiare nello spiazzo di ghiaia. Avevo scelto quel quartiere per la quiete, le ville isolate e la vista notturna mozzafiato. Cosa più importante, mi era stato assicurato dall’agente immobiliare che quel piccolo angolo di paradiso non era mai la prima scelta delle famiglie, ma accoglieva per lo più single eccentrici e benestanti che amavano la propria privacy.
Avevo una grande stima per i miei vicini, soprattutto perché si limitavano a brevi e blandi saluti e mettevano la discrezione al primo posto. In sintesi, sembravano odiare il genere umano, proprio come me.
Una volta disinserito l’allarme, mi sbottonai la camicia e mi diressi nella cucina di tek che avevo progettato di persona. Mi piaceva cucinare e quel tavolo aveva accolto varie volte la mia solita compagnia di geek strampalati; le uniche persone che consideravo amici, la mia cerchia.
Tra questi c’era stata Amanda, la mia ragazza storica, una parentesi della mia vita che tentavo di cancellare da quasi un anno. Da bravo mago dei computer, avrei barattato qualunque cosa per avere un tasto Reset da digitare a piacimento. Quando alla radio trasmettevano una canzone che me la ricordava o quando andavo in un ristorante che avevamo frequentato insieme, lei tornava nei miei pensieri e colpiva come un pugno allo stomaco. Sapevo di non provare più niente per Amanda, erano solo quegli inutili ricordi a mettersi in mezzo. Quelli, e il senso di smacco, a dirla tutta.
Dopo essermi preparato un’insalata e dell’ananas fresco – perché nerd sì, ma il corpo era pur sempre il mio tempio –, scesi nella taverna, il mio covo.
Le scaffalature contro le pareti grezze ospitavano una discreta collezione di blue-ray. Mi vantavo di essere un estimatore di serie tv e cinema di oltreoceano. Il divano era oversize e dominava lo spazio di fronte alla televisione, ma la zona che preferivo era la postazione della mia scrivania, con il laptop di ultima generazione e un Mac sempre pronto per collegarmi.
Rinunciai a mettermi una maglietta e ripensai ai tempi delle superiori e a come mi ero creato un piccolo business riparando computer e aggiornando i sistemi operativi. Quelli erano stati anni tranquilli, soprattutto perché, frequentando un piccolo istituto tecnico di soli maschi, non mi ero rapportato con la malizia delle ragazze. Diversamente da quello che potrebbe sembrare, durante quel periodo non avevo subito episodi di bullismo. Ero stato al centro di qualche scherzo fuori luogo e mi avevano affibbiato un paio di appellativi disturbanti, ma in fondo non era successo niente di serio.
Come tutti gli estremi, la mia diversità era troppo evidente per poterla ridicolizzare senza severe conseguenze. Ero così discordante in mezzo agli altri, spiccavo così tanto tra quella massa di adolescenti, che in sordina ero stato promosso a specie protetta. Gli insegnanti mi dedicavano mille premure e al tempo stesso mi tenevano d’occhio come cecchini, facendo a gara a chi beccava qualcuno in fallo. Con loro disappunto, alla fine dei cinque anni nessuno si era divertito a tormentare il povero ragazzo albino.